pubblicato sul libro “Mindfulness – Come essere consapevoli (Universale paperbacks Il Mulino) “, Gherardo Amadei.
Se seguissimo il metodo zen suggerito dalla vignetta allora forse sarebbe più saggio e utile lasciare queste pagine bianche invece che scritte… e forse ognuno di noi troverebbe il proprio modo per relazionarsi con quel vuoto, così come chi si avvicina alla morte è costretto a confrontarsi con il vuoto, con la scomparsa di tutte le identità (lavorativa, corporea, sociale, famigliare, ecc) precedenti. Le tradizioni dalle quali la mindfulness prende ispirazione, in particolare quella buddhista, ci indicano che quel vuoto è la nostra casa, e lì possiamo dimorare con grande pace.
Lama Zopa il fondatore del Karuna hospice in Australia, ci suggerisce che ciò di cui abbiamo paura è la nostra rappresentazione della morte perchè quello che veramente è la morte nessuno lo può sapere.
Frank Ostasesky, direttore dello Zen hospice di San Francisco, dice che ha visto persone disperate che quando iniziavano ad accorgersi che quella cosa terribile che stava affiorando durante il processo della morte altro non era che lo svelarsi della loro natura più profonda si affidavano al processo con fiducia. Possiamo assistere una persona che sta morendo come se fosse il nostro Maestro” ? Sta coraggiosamente affrontando prima di noi come lasciare andare, aprire le mani, come rimanere nella consapevolezza del vuoto. Sapere riconoscere,la consapevolezza del vuoto, come la nostra identità più profonda. Questo cambia completamente la relazione con chi è alla fine della vita. Non siamo solo noi ad aiutare lui ma è sopratutto lui che aiuta noi.
Come dice Frank Ostasesky, morire non è un fatto medico ma è sopratutto questione di relazione: con se stessi, con gli altri, con il mondo, il senso della vita e il mistero. Comprendere questo e la consapevolezza significa cambiare anche l’approccio alla relazione clinica con il paziente che non è più una relazione di aiuto ma si trasforma in servizio. Nell’aiuto, scrive Ostasesky, riportando le parole di Rachel Remen, vi è un disequilibrio, l’aiuto non prevede un rapporto alla pari. “Quando si aiuta si usa la propria forza a vantaggio di qualcun’altro che ne ha meno…La diseguaglianza è palpabile….Ponendoci in una relazione di aiuto possiamo inavvertitamente sottrarre all’altro più di quanto gli diamo, sottraendogli autostima e dignità. Ma per servire dobbiamo mettere in gioco qualcosa di più della nostra forza, dobbiamo mettere il gioco la totalità di noi stessi. Attingere all’intera gamma delle nostre esperienze, ai nostri lati oscuri. La nostra interezza serve l’interezza dell’altro,l’interezza della vita.. l’aiuto crea debito, l’altro sente di doverci qualche cosa, il servizio al contrario è reciproco: quando aiuto provo soddisfazione, quando servo provo gratitudine. Servire è inoltre diverso da provvedere. Quando cerco di provvedere a qualcuno, vedo nell’altro qualcosa che non và. E’ un giudizio implicito che mi separa dall’altro e crea una distanza. Direi quindi che fondamentalmente, aiutare,provvedere, ci sembra che abbia qualcosa che non và. Quando aiutiamo la vita ci appare debole. Quando cerchiamo di provvedere,ci sembra che abbia qualcosa che non và. Ma quando serviamo, la vita ci appare completa”[Ostasesky, Saper accompagnare]
Dice ancora Ostasesky (seminario a San Vito, maggio 2012): “se mi dedico veramente ad una persona che sta per morire in quel momento mi dedico anche a me stesso: non facciamo altro che camminare insieme, mano nella mano, attraverso la nascita e la morte”. E’ un approccio all’assistenza radicalmente diverso, in cui si riconosce esplicitamente il dono che chi sta per morire offre a chi si prende cura di lui.
Egli divide il Servizio in “doni”: 1-il dono del contatto, la possibilità di toccare l’altro con presenza, attenzione, amorevolezza, 2- il dono dell’ascolto, di essere presenti a ciò che c’è , all’ascolto di se, dell’altro alla realtà e non fuggire altrove, 3- il dono della consapevolezza che comprende il significato ed il perdono. Rispetto al significato, una cosa è morire e un’altra è morire con la sensazione che la propria vita non ha avuto senso. Ostasesky nei suoi seminari e nel suo libro parla della fase del ” significato” dell’importanza di essere presenti e permettere alle persone di raccontarsi ancora e ancora, di raccontare tutta la loro vita, anche più volte se ne hanno bisogno, fino al momento nel quale avendo trovato il senso non sono più nel campo del significato ma nel campo del Mistero. Nel campo di ciò che non può essere ne risolto ne capito. Riuscire a stare con il mondo del mistero dell’altra persona è essenziale. Spesso ci sentiamo impotenti e falliti se non riconosciamo che non c’è una soluzione da trovare ma che siamo entrati nella fase del Mistero, delle domande senza risposta, di ciò che non ha soluzione.
Quanto al perdono Ostasesky nel suo libro dedica un intero capitolo al perdono, all’importanza di poterlo fare dopo essersi arrabbiati, farlo in modo autentico e non artificiale, aiuta a poter morire. Ma per potere accompagnare al perdono qualcuno è necessario averlo potuto fare nelle nostre vite in modo autentico e profondo, averne esperienza,sapere cosa è e il senso di libertà che segue. La libertà dalla rabbia, dalla chiusura dalla sfiducia,e la mindfulness aiuta in questo.
Nel 1999 stavo lavorando alla mia tesi di Laurea presso il Al Karuna Hospice in Australia. Nel loro lavoro gli operatori utilizzavano la mindfulness per instaurare con i pazienti una modalità di relazione come servizio. Essere presenti e consapevoli significa riconoscere l’intera gamma dei bisogni di una persona da quelli materiali (il dolore fisico, la povertà) a quelli spirituali ed offrire modalità efficaci per contenerli. “Nel processo del morire è la consapevolezza stessa che diventa un ambiente di contenimento”, come dice anche Ostasesky, e ciò “permette al morente di avventurarsi al di là di quelle che sono le identità conosciute. L’ambiente di contenimento evoca il senso di fiducia e quindi sviluppa la capacità del paziente di andare al di là dei limiti precedenti. Emergono qualità ed esperienze nuove, un nuovo sé, come se si aprisse un tappo. Emerge un certo tipo di sofferenza e di dolore o di materiale inconscio archetipico, simbolico o misterioso, o la bellezza, o il suo contrario, e tutto questo solo per la presenza di un ambiente di contenimento. Come può un ambiente di contenimento permettere al senso del Se di attenuarsi, o il senso di identificazione e possesso? lo vediamo quando siamo in meditazione quando la consapevolezza da un contenimento e permette di riposare e stare nella fiducia e questo è un valore aggiuntivo”( Ostasesky ” Seminario a San Vito Maggio 2012); da qui l’importanza di offrire “cure palliative attente e consapevoli” come parte integrante del piano complessivo di un intervento oriantato dalla mindfulness.
Allo stesso modo Frank Ostasesky in un intervista nel film ” attorno alle ultime cose” racconta come accompagna una persona che sta morendo sulla collina che il paziente vede (non gli dice ” guarda che hai le allucinazione, la morfina ti sta facendo effetto e vedi cose che non ci sono) ma gli chiede ” Dove sei? cosa ti sta succedendo?” “Sono su una collina” risponde lui “ma è molto faticoso arrivare in cima”. “Se prometto di seguire il tuo passo posso venire con te? chiede Frank. il malato risponde “si”. “Cosa vedi ora?” chiede Frank. “una scuola rossa. come quella nella quale ci hanno portato durante la deportazione. Devo entrare” dice lui. “Posso entrare anche io”? chiede Frank ” no “dice il malato, “devo andare da solo” e in quel momento muore.. Come detto, si tratta di essere presenti e accompagnare l’altro nel suo mondo e stare con il mistero di quello che non può avere risposta, attraversare anche questa fase della vita con la guida di 5 precetti: 1-accogli tutto, non respingere niente, 2-sii presente, porta nell’esperienza tutto te stesso, 3- non aspettare,potrebbe non esserci più tempo, la morte e l’impermanenza fanno parte della vita, non aspettare a dire che ami a risolvere le cose irrisolte,ecc. 4-imparare a riposare nel pieno dell’attività, trovo lo spazio di riposo e consapevolezza tra un respiro e un’altro, tra un pensiero e un’altro, tra un’emozione e un’altra tra un’azione e un’altra ecc, 5- coltiva una mente che non sa, la mente del principiante, l’umiltà, mettersi in questa posizione è l’unica possibilità che abbiamo per scoprire e vedere cose nuove e nuovi aspetti della realtà, per crescere, vivere e morire,con curiosità, apertura e stupore.